Marco Ronda non usa gli ingrandenti. E basterebbe questo periodo paratattico per concludere il nostro Punto di oggi.
Ma iniziamo con il presentare Marco Ronda, perché non è scontato che tu lo conosca.
Uno tra gli allievi più brillanti del Prof. Massimo Simion, il collega genovese ha raggiunto (e superato) l’eccellenza nel campo della chirurgia rigenerativa ed è oggi annoverato tra i big della materia, alla pari di Urban e Jovanovic (che non è Jovanotti). Il suo contributo forse più importante alla GBR è la tecnica di rilascio del lembo denominata brushing technique, la quale consente avanzamenti molto importanti distaccando il muscolo dalla sotto-mucosa.
Quello che riesce a fare Ronda con i tessuti ha dell’incredibile, e guardando operare le sue mani sembra tutto un gioco da ragazzi.
Poi quando ti metti sulla mandibola di maiale e provi a replicare le tecniche, ti accorgi di essere uno scoreggione senza speranza.
Martedì ero da lui, a Genova, per il penultimo incontro del suo semestrale e, mentre tutti iniziavano già a suturare, io stavo ancora lì a cercare di separare quel cazzo di muscolo dalla sottomucosa.
Ogni tanto lo chiamavo: “Marco, scusami – gli facevo con il tono mesto di chi sa che si sta rivolgendo a una divinità – sto sbagliando?”, lui arrivava, guardava il frutto della mia profanazione necrofila, e mi faceva “Tu non sbagli mai”. Era evidente che mi stesse portando per il culo, ma faceva comunque piacere sentirselo dire. Poi mi chiedeva: “posso?”, mi prendeva bisturi e pinzetta anatomica e cominciava a brushare con una tale perizia che i tessuti parevano quasi si separassero da soli: era come se fossero semplicemente appoggiati l’uno sopra l’altro, tipo i veli di un fazzoletto Tempo, per intenderci.
MERAVIGLIOSO.
Comunque, come ti accennavo all’inizio di questo articolo, ho avuto un black out emotivo quando ho scoperto che Ronda non utilizza ingrandenti (è vero, possiede un paio di galileiani, almeno da quello che si evince dal suo profilo Facebook) durante le live su pazienti.
Per te potrebbe anche non significare nulla, e ne sarei anche d’accordo, ma nel mondo in cui io sono stato educato: “no lente, dentista deficiente”. Qualche tempo fa un caro collega (caro nel senso che si fa pagare tanto) mi canzonava dicendo che i miei 2,5x erano gli occhialini dell’abusivo. E io ci ridevo, ma sotto sotto mi dispiaceva. Tanto che poi ho comprato un 4.5x. Ma a quel punto il caro collega si era fatto il microscopio Zeiss e continuava a ridermi dietro, mentre mi faceva vedere quanto era bello fare le occlusali al microscopio.
C’è stata sempre un po’ questa moda a chi ha il loop più lungo e, come tanti altri caratteri fragili, anche io sono caduto nelle limacciose trame della competizione.
Quando prima dell’incontro, la Segreteria ci ha ricordato di portare gli occhialini, ero sicuro che mi sarei confrontato con una platea di visori che nemmeno Sam Fisher in Splinter Cell. Non ci ho pensato due volte a lasciare a casa i miei cari e vecchi galileiani, in favore dei prismatici. Non mi sbagliavo. In sala c’era di tutto, comprese le illuminazioni coassiali con tecnologia wireless e risparmio energetico intelligente. Roba che se ti giravi bruscamente rischiavi la collisione con gli ingrandenti del tuo compagno di banco.
A questo punto, dopo aver compreso l’humus dal quale provengo, credo che capirai meglio la mia reazione quando ti vedo il Marchetto Nostro, con quel suo sorrisetto scanzonato che ti fa aumenti verticali da due centimetri e sutura le 6-0 senza ingrandenti.
Mi ha cambiato davvero.
Certo, continuo a pensare che le mie terapie canalari senza ingrandenti farebbero cagare gli stitici, ma… non sono più convinto di tutta la talebaneria magnificatrice a cui mi avevano indottrinato (e verso cui ho spesso catechizzato i miei interlocutori).
Non so se conosci la storia del primo atleta che ha rotto il muro dei 10 secondi nei cento metri. In breve, lo prometto.
Il primo record dei cento metri viene registrato in occasione delle Olimpiadi di Stoccolma. Ad aggiudicarsi l’oro tale Donald Lippincott, che taglia il traguardo in 10,6 secondi.
Quello che succede da lì al 1968 (quasi cinquant’anni dopo) è un lento e discontinuo avvicinarsi alla fatidica soglia dei 10 secondi.
La verità è che la comunità scientifica, così come il senso comune, riteneva impossibile in virtù delle caratteristiche fisiche dell’essere umano, un risultato diverso.
Impossibile finché un tale Jim Hines, afroamericano cresciuto in California, non dimostra a tutti che le teorie sono una cosa… la pratica è un bel 9,95’’ ai giochi olimpici di Città del Messico.
Da quel giorno, chissà come, gli esseri umani si sono scoperti capaci di infrangere il muro dei dieci, tanto che oggi pure mio cugino Cesare di Fossastampella pare riuscire a correre sotto i dieci senza particolari problemi.
Quello che ti voglio dire è che siamo circondati da ciò che appare immutabile. Chiamala educazione, chiamalo Sistema 2, Pensiero Veloce, Indottrinamento, chiamalo come cacchio ti pare, cambia davvero poco.
Tutti sono convinti che la terra sia al centro di tutto, poi un bel giorno arriva Copernico e ti fa partire la rivoluzione. Fino a ieri l’uomo non poteva volare, poi due fratelli che aggiustavano le biciclette creano un aeroplano e riescono ad atterrare senza lasciarci la pelle. In poche parole, se non esistessero gli audaci, l’umanità verserebbe ancora nel paleolitico. Ma il motivo per cui ci è difficile accettare che la realtà possa essere diversa da come ce l’hanno dipinta, è che avere dei pilastri ben radicati tiene tutti tranquilli.
Lo so, sembra un discorso orwelliano tratto dal più complottista dei gruppi noncielodicono, ma questa è la storia del nostro cavolo di mondo. Ogni salto evolutivo parte da una interruzione dello status quo.
Sapere che con gli occhialini riesci a fare l’eccellenza in odontoiatria ti fa lavorare con la coscienza a posto, anche se poi smadonni per mantenere gli assi di parallelismo durante le preparazioni implantari a mano libera.
Martedì scorso Marco Ronda mi ha mostrato una strada nuova aprendomi l’orizzonte di un salto evolutivo.
Apri gli occhi perché sono convinto che anche tu hai delle certezze che si possono stravolgere, e accettarlo ti cambierà la vita.
L’errore più grande che tu possa fare è rifiutare la possibilità che stai sbagliando, o che quello che ti hanno insegnato è forse una cagata. Ci rimarrai male, ‘sti cavoli, ma superata la fase di negazione, potrai sperare di abbracciare un orizzonte nuovo, e alla fine, ti accorgerai che era proprio ciò di cui avevi bisogno.
Filippo