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Punto di Filo 18 Giugno 2024

La mia personale riflessione sulla settimana appena trascorsa e su un tema a me caro...
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Ho avuto il piacere di leggere l’ultimo lavoro edito da ANDI sul passaggio generazionale all’interno dello studio dentistico. Questo tema mi è davvero caro perché, da figlio di nessuno (in ambito odontoiatrico, ovviamente) mi sono ritrovato quattro anni fa, proprio all’alba dell’era covid, a dover subentrare a un collega più anziano con il quale, fino al 2020, ho collaborato in regime di reciproca autonomia.

 

Tornando al documento pubblicato dall’ANDI, mi ha colpito un dato all’apparenza disarmante:

nei prossimi 6-8 anni, il 60% degli odontoiatri iscritti all’albo sarà in età pensionabile. 

Questo non vuol dire certamente che ci troveremo improvvisamente dimezzati, per carità, conosco colleghi che lavorano ben oltre i 70 anni… ma da collaboratori. Ed è questo il punto fondamentale: se dovessimo disegnare un grafico a campana con l’età anagrafica in ascisse e il numero dei dentisti in ordinate, ci accorgeremmo che agli estremi della curva si trovano i consulenti. A sinistra i più giovani, quelli che sono appena entrati nel mondo del lavoro; gli anziani, dall’altra parte, rappresentano gli ex-titolari di studio che continuano a esercitare sui pochi pazienti storici, all’interno di un contesto protetto.

E quando dico protetto, penso a uno studio gestito da energie giovani in grado di stare davvero al passo con i continui mutamenti normativi e sociali cui siamo ormai abituati.

Perché, vedi quello che dobbiamo davvero capire è che lo studio monoprofessionale (così come è stato pensato), non esiste più. 

A maggio ANDI ha presentato i risultati dell’ultima analisi congiunturale sul dentale.Quello che emerge è che, pur perdendo quota, gli studi monoprofessionali resistono, attestandosi al 51% delle forme di organizzazione italiane. 

Ma chi è che ancora organizza il proprio studio come studio monoprofessionale? E che cosa vuol dire studio monoprofessionale?

Se andiamo a cercarne la definizione scopriamo che è uno studio condotto da un solo professionista che esercita la sua opera in piena autonomia, un’organizzazione pensata per lavorare a livello atomistico: titolare e ASO (quando va bene). Ora dimmi la verità: quanti studi oggi lavorano così? Il 51%?  Bah, ti prego di elencarmene almeno cinque  di tua conoscenza dove il medico eroga tutte le prestazioni, senza avvalersi di consulenti esterni.

Io penso che questa epoca è finita da un pezzo. Quindi, quello che dovremmo chiederci a margine di questa indagine ANDI è: perché il 51% delle realtà odontoiatriche italiane, ancora si organizza con modelli aziendali pensati per una realtà che andava bene 40 anni fa?

Oggi avere uno studio monoprofessionale non significa assolutamente che il medico si occupa di tutte le prestazioni, quindi stiamo utilizzando delle forme giuridiche che non hanno più senso, obsolete se vogliamo.

Ma andiamo un pochino più nel dettaglio. Se dopo la Laurea fai l’esame di Stato, sei abilitato all’esercizio della professione odontoiatrica. Ti sto dicendo cose che sai ma che è bello ripassare. Ti iscrivi all’Ordine. A quel punto, assicurazione e apertura della partita IVA: puoi mettere le mani in bocca a un paziente.

Perfetto. Se vai in consulenza, come facciamo tutti all’inizio della nostra professione, hai il tuo bel cassetto fiscale, emetti fattura e tutto finisce lì. Sei un libero professionista, un freelance.

Ma se vuoi aprire uno studio, le cose si complicano molto. Devi trovare un locale. Questo locale deve avere innanzitutto l’autorizzazione alla realizzazione di uno studio dentistico, che nella nostra regione, le Marche, è denominata AUT 1. Per ottenere l’AUT 1 devi inviare al Comune un progetto di quello che sarà il tuo studio dentistico e a questo punto devi prendere una decisione importante: se il tuo studio fatturerà al paziente con la tua partita IVA da libero professionista, tu aprirai uno studio medico. Lo studio medico deve rispondere a determinate caratteristiche, e vanta, rispetto alle altre realtà, qualche semplificazione procedurale.
Per esempio, nella regione Marche puoi evitare di avere l’ascensore e ti puoi fare meno problemi sulle barriere architettoniche. Punto. Detto questo, puoi benissimo capire che il manuale autorizzativo è stato pensato per gli studi già esistenti, quelli aperti nel centro storico dal nonno dentista.

Ma per tutte le realtà nuove, cioè se tu oggi vuoi aprire uno studio da zero, le eccezioni tra studio dentistico e ambulatorio odontoiatrico, almeno nella Regione Marche (ma tanto è quasi uguale in tutte le regioni),  sono davvero poche.

Quindi, se  erediti uno studio già avviato presso un collega che va in pensione, dovrai ben valutare se puoi farci l’ambulatorio odontoiatrico (anche organizzato in forma di STP in SRL) o ti dovrai forzatamente limitare, per discorsi di natura strutturale, allo studio medico. L’inculata è tutta qui. Quando acquisisci lo studio di qualcun altro, molto probabilmente stai comprando un modello di business vecchio di mezzo secolo.

Ma allora mi chiederai: “Come devo fare? Oggi non mi posso permettere di aprire uno studio da zero!”.

Va bene, ma se devi acquisire lo studio di un altro collega, cerca almeno di capire se quel locale, quando avrai  le spalle un pochino più larghe, ti consentirà di fare lo switch in modo più o meno gestibile. Perché fare lavori straordinari per trasformare uno studio medico in un ambulatorio medico, per aggiungere quindi quelle quattro cose che servono per poter autorizzare un ambulatorio, è complicato; in alcuni casi impossibile.

Mi ricordo di uno studio ad Ancona, una realtà che fino a dieci anni fa rappresentava un piccolo fiore all’occhiello nel ambiente bene della Città Dorica, che oggi ha chiuso definitivamente i battenti perché, andato in pensione lo storico titolare e non essendo possibile alcuno shift autorizzativo per motivi condominiali, ha perso ogni appetibilità commerciale.

In definitiva, fidati dell’inutile opinione del sottoscritto, più andremo avanti, più essere titolari di uno studio monoprofessionale sarà uno stigma che inficerà sulla capacità organizzativa e produttiva dei colleghi che erediteranno queste realtà. L’Europa va infatti nella direzione di una iperburocratizzazione delle realtà sanitarie e gli studi monoprofessionali, così come sono stati pensati 40 anni fa, non risponderanno più con flessibilità alla enorme mole di requisiti che via via, nel corso degli anni, si andranno ad aggiungere alla già immane e demoniaca massa di rotture di scatole cui siamo soggetti.

Quindi, per concludere, il mio consiglio oggi è: pensaci bene!

Filippo

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